Quando un familiare volontariamente assume l’impegno di fornire aiuto e supporto al malato nel suo percorso di recupero fisico, mentale ed affettivo nell’ambiente domestico, si fa carico di un compito difficile e gravoso.

L’azione dei “caregivers” non può essere spontanea e guidata solo da affetto e buon senso, essi devono essere istruiti da personale specializzato sulle strategie e le tecniche ottimali da applicare per affrontare, con il malato, le mille difficoltà della vita quotidiana nell’ambiente domestico.

Spesso il carico assistenziale all’interno della famiglia, è gestito da un’unica persona in quanto gli altri membri gradatamente abbandonano il peso dell’assistenza e delegando sempre più ad un solo membro della famiglia. Il familiare che si occupa dell’assistenza, rischia così di essere isolato e di isolarsi emotivamente e socialmente dalla vita pubblica e privata, fino ad arrivare gradualmente ad una vera e propria crisi psichica.

Talvolta, assistere un malato (soprattutto se affetti da malattia di tipo cognitivo o da grave non autosufficienza) comporta un aiuto per la maggioranza dei gesti e degli atti della vita quotidiana; la sorveglianza è quindi necessaria sia di giorno che di notte ed il familiare resta in costante allarme.

Ad esempio, lo sforzo fisco di chi assiste un anziano demente non è tanto grave per la sua intensità, quanto per la durata che è senza tregua.

Aiutare il caregiver comporta il fargli comprendere l’importanza di chiedere e di accettare un aiuto dalla famiglia, se è disponibile, o da altri operatori esterni.

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